Venerdì 21 maggio un articolo di Repubblica ha anticipato un possibile ripensamento delle misure sugli spostamenti tra regioni a partire dal 3 giugno, data in cui, stando agli annunci precedenti, ci si sarebbe potuti muovere senza restrizioni. In particolare, vi si dice che:
“l’idea al vaglio in queste ore è di rendere possibili da quella data solo gli spostamenti tra Regioni che registrano un livello pari di contagio. Se così fosse, i lombardi potrebbero spostarsi solo in Molise e in Umbria, che al momento registrano lo stesso indice di diffusione del virus (livello medio)”
Dato che si tratta di una misura molto importante per i movimenti dei cittadini e per il futuro economico delle regioni, sarebbe interessante capire come viene definito questo “indice di diffusione del virus”, sul quale ci sono ben poche informazioni.
Partendo dagli esempi presentati negli articoli e osservando la situazione attuale nelle regioni indicate, vediamo che in effetti ci sono notevoli discrepanze:
- con 80 casi ogni 10.000 abitanti, la Lombardia è tra le regioni italiane con il più alto numeri di casi pro-capite. Inoltre, con 16 deceduti ogni 10.000 abitanti guida la classifica italiani dei decessi in rapporto alla popolazione ed è anche tra le regioni al mondo col più alto numero di decessi pro-capite. In questa regione, la situazione è stata critica sin dall’inizio e non può ancora considerarsi risolta;
- in Umbria la situazione è opposta. Solo 16 casi ogni 10.000 abitanti (5 volte in meno rispetto alla Lombardia) e un numero bassissimo di morti, meno di 1 ogni 10.000 abitanti (16 volte in meno rispetto alla Lombardia);
- al momento, il Molise si colloca tra questi due estremi. I tassi di morti e deceduti rispetto alla popolazione sono molto più simili all’Umbria che alla Lombardia, ma nelle ultime 2 settimane si è prodotto un focolaio che ha fatto schizzare i casi verso l’alto (+40% in una settimana). Tuttavia, la situazione pare tornata al momento sotto controllo, col numero di riproduzione di base R0 che è tornato sotto 1, segno che la curva degli infetti attivi è tornata a scendere.
Alla luce di questi elementi, sembra ben difficile porre le tre regioni sullo stesso piano, come sembrerebbe alla luce delle dichiarazioni ministeriali, o per lo meno delle sue interpretazioni giornalistiche.
In Germania, in particolare a Berlino, il livello di rischio è indicato in maniera molto trasparente. È stato ideato un semaforo per 3 categorie, ossia parametro R0, variazione settimanale del numero di infetti, ricoverati in terapia intensiva rispetto ai posti disponibili.

Analizziamo le caratteristiche del semaforo:
- parametro R0. Semaforo verde se R0<1.1, semaforo arancione se R0 è compreso tra 1.1 e 1.2, semaforo rosso se R0 > 1.2;
- variazione degli infetti nell’ultima settimana. Semaforo verde se il numero di nuovi infetti settimanale ogni 100.000 abitanti è inferiore a 20, arancione se è compreso tra 20 e 30, rosso se è maggiore di 30 (questo è il parametro definito a livello federale, sulla cui base abbiamo realizzato la nostra mappa provinciale);
- occupazione delle terapie intensive. Semaforo verde se i ricoverati in terapia intensiva sono inferiori al 15% rispetto ai posti disponibili, semaforo arancione tra 15% e 25%, semaforo rosso se si supera il 25%.
Con 3 semafori verdi la situazione è da considerarsi sotto controllo, 2 semafori arancione indicano una condizione di criticità da monitorare attentamente, 2 semafori rossi indicano la necessità di un immediato lockdown.
Utilizzando questi stessi criteri sulle regioni italiane (al 21 maggio), otteniamo questi risultati:

Come si può osservare dalla tabella, Molise e Umbria sono regioni con 3 semafori verdi.
Al contrario la Lombardia presenta due criticità (semaforo arancione) nella variazione degli infetti dell’ultima settimana e nell’occupazione delle terapie intensive. Anche Piemonte e Liguria presentano un semaforo arancione, mentre tutte le altre regioni presentano tre semafori verdi.
In conclusione, usando i criteri definiti dal governo tedesco, ci sono 17 regioni italiane con stesso livello di rischio (basso) e 2 regioni con livello di rischio poco più elevato (Piemonte e Liguria) e 1 regione con livello di rischio potenzialmente critico, da monitorare attentamente (la Lombardia). Inoltre, bisogna sempre tener presente che l’epidemia è un sistema dinamico e queste condizioni possono variare fortemente nell’arco di pochi giorni. Dunque è estremamente importante chiarire quali siano le ipotesi che portano a classificare Molise, Umbria e Lombardia nella stessa categoria di rischio, poiché la nostra analisi non conferma questo risultato.
A tutto questo andrebbe aggiunta un’ulteriore osservazione: proprio perché le epidemie sono sistemi molto dinamici, è importante tenerle sotto controllo a un livello locale, perché i focolai si producono, in genere, in ambiti molto limitati ma possono espandersi rapidamente. Perciò, una fiammata epidemica può originarsi in un contesto molto piccolo, difficile da notare a un livello di osservazione più esteso: pensiamo a un comune di 15.000 abitanti in cui si scoprano 15 nuovi casi in pochi giorni. Se ci manteniamo al livello di una regione come la Lombardia, con più di dieci milioni di abitanti, questi 15 casi sono troppo pochi per essere notati, ma possiamo aspettarci che, così concentrati in un ambiente piccolo, possano rapidamente estendersi diventando presto diverse decine se non centinaia. Per questo, usare le regioni come livello amministrativo di riferimento può essere molto pericoloso, proprio perché si potrebbe rischiare di suonare l’allarme con troppo ritardo. Come abbiamo notato, in Germania il livello amministrativo di riferimento sono i Kreise, per un totale di 416 diversi ambiti territoriali; in Italia, sarebbe opportuno usare come riferimento almeno le 107 province, invece delle 20 regioni. Purtroppo, sembra che, anche in questo caso, le logiche amministrative (per non dire burocratiche) abbiano preso il sopravvento