Fase 2: tamponi o esami del sangue?

È noto che la diagnosi è il momento fondamentale prima d’impostare la terapia. Per quanto non ci sia ancora uno specifico trattamento per il COVID-19 (vedi approfondimento sui farmaci), nella Fase 2 la diagnosi di questa patologia riveste una funzione importante per definire le politiche d’isolamento o riapertura, in modo da continuare a diminuire la diffusione del virus.

Di conseguenza, in questa fase la diagnosi non è propedeutica tanto alla vera e propria “terapia del malato” quanto a una terapia di supporto assistenziale della “società malata” per la paura, gli effetti economici avversi delle misure prese e l’incertezza del futuro.

Se è vero che l’incertezza aumenta la paura o, per meglio dire, che la “conoscenza ci difende dalla paura”, avere sempre più dati ed evidenze a nostra disposizione può darci una mano a capire lucidamente cosa possiamo fare nel contesto in cui ci troviamo e su cosa dobbiamo puntare per non perdere tempo, risorse ed energie.

Sul ruolo della diagnosi si stanno facendo molti passi in avanti, almeno nella definizione delle tempistiche d’immunizzazione e di quali siano le tipologie di test più appropriate nelle diverse fasi.

Recentemente sono infatti usciti sia un articolo su JAMA (rivista scientifica) che una circolare del 9 maggio del Ministero della Salute che ci aiutano a fare più chiarezza nel rapporto fra i due tipi di test di cui disponiamo:

  1. il test molecolare (PCR) in cui si ricerca l’RNA virale e che si esegue con il tampone nasofaringeo (e ultimamente forse anche dalla saliva);
  2. il test sierologico in cui si ricercano gli anticorpi IgM e IgG attraverso un esame del sangue.

Quali sono le differenze?

Sappiamo che oggi i test sierologici  servono principalmente per indagini epidemiologiche e non per fare “diagnosi utile” in Fase 2, dato che le attuali conoscenze scientifiche relative ai test sierologici per il COVID-19 presentano due importanti ordini di lacune:

  1. non sappiamo se questi anticorpi proteggano da una reinfezione (in genere, un elevato titolo anticorpale correla con la presenza di anticorpi neutralizzanti rilevati al test di neutralizzazione/riduzione delle placche);
  2. non sappiamo quanto dura questa immunizzazione (6 mesi? 12 mesi? Per sempre?) ovvero non è ancora nota la  persistenza degli anticorpi a lungo termine.

La stessa OMS evidenzia che, per l’utilizzo dei test sierologici nell’attività diagnostica d’infezione in atto da SARS-CoV-2, sono necessarie ulteriori evidenze sulle loro performance e utilità operativa.

I test sierologici, come dicevamo, sono invece utili nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale in quanto:

  1. sono uno strumento importante per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità;
  2. la sierologia può evidenziare l’avvenuta esposizione al virus;
  3. i metodi sierologici possono essere utili per l’identificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 in individui asintomatici o con sintomatologia lieve o moderata che si presentino tardi all’osservazione clinica;
  4. i metodi sierologici possono essere utili per più compiutamente definire il tasso di letalità dell’infezione virale rispetto al numero di pazienti contagiati da SARS-CoV-2.

In definitiva, secondo il parere espresso dal Comitato Tecnico Scientifico istituito presso il Dipartimento di Protezione Civile, questi test non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei, secondo i protocolli indicati dall’OMS, in quanto non abbastanza affidabili.

In merito all’affidabilità dei test sierologici si fa presente che la qualità e l’affidabilità di un test dipendono in particolare dalle due caratteristiche di specificità e sensibilità, e che pertanto, sebbene non sussistano in relazione a esse obblighi di legge, è fortemente raccomandato l’utilizzo di test del tipo CLIA e/o ELISA che abbiano una specificità non inferiore al 95% e una sensibilità non inferiore al 90%, al fine di ridurre il numero di risultati falsi positivi e falsi negativi.

Al di sotto di tali soglie, l’affidabilità del risultato ottenuto non è adeguata alle finalità per cui i test vengono eseguiti.

Infine l’ECDC (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) nelle varie pubblicazioni riporta che:

  1. Un test anticorpale positivo indica se la persona è stata infettata da SARS-CoV-2 (se IgM positivi: infezione recente; se IgM negativi e IgG positivi: infezione passata), ma non indica necessariamente se gli anticorpi sono neutralizzanti, se una persona è protetta e per quanto tempo, e se la persona è guarita. Si ritiene, pertanto, opportuno, in tali casi, l’esecuzione del test molecolare.
  2. Un test anticorpale negativo può avere vari significati: una persona non è stata infettata da SARS-CoV-2, oppure è stata infettata molto recentemente (meno di 8-10 giorni prima) e non ha ancora sviluppato la risposta anticorpale al virus, oppure è stata infettata ma il titolo di anticorpi che ha sviluppato è, al momento dell’esecuzione del test, al di sotto del livello di rilevazione. Tali valutazioni confermano che i test anticorpali non possono essere considerati come strumenti diagnostici sostitutivi del test molecolare.

Per capire meglio questi aspetti, in particolare sulle tempistiche, si rimanda all’articolo Interpreting Diagnostic Tests for SARS-CoV-2 uscito su JAMA.

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MMG , ASL Teramo
MMG, ASL Teramo Medico di Medicina Generale con la passione per le politiche sanitarie (Master in Economia e Management Sanitario)
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