Nella scorsa tappa di questa lunga ricognizione, abbiamo iniziato a vedere alcune caratteristiche chiave delle energie rinnovabili (che potrebbero essere estese anche all’economia circolare) e delle tecnologie digitali, notando come essere siano strutturalmente diverse, se non opposte, a quanto indicano le assunzioni di base del modello industriale classico, rimaste sostanzialmente costanti attraverso le sue numerose trasformazioni. Per provare a capire come potrebbe essere fatto un modello di sviluppo economico e sociale basato su queste tecnologie, però, dobbiamo prima porci una domanda apparentemente semplice: che cos’è la tecnologia digitale?
Entrambe le parole che compongono questa espressione andrebbero approfondite. Per comprendere davvero la prima, dovremmo esplorare criticamente almeno gli ultimi tre secoli del pensiero occidentale, da Rousseau (no, non la piattaforma web) a Heidegger, da Hegel a Gehlen, da Marx a Foucault, giusto per pescare alcuni dei nomi più ovvi. Purtroppo, o forse per fortuna, qui dobbiamo accontentarci di pensare, o meglio riformulare, la cosiddetta Terza legge di Clarke, secondo cui “qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. In altre parole, una tecnologia avanzata, come la magia, trasforma il mondo in cui viviamo e, proprio allo stesso modo, il suo funzionamento sfugge alla comprensione della maggior parte delle persone. Quello che sfugge alla definizione di Clarke, però, è il carattere permanente delle trasformazioni introdotte dalle innovazioni tecnologiche e la loro portata, tale da trasformare radicalmente il nostro modo di vivere. Per fare un solo esempio, prima dell’invenzione della stampa in tutta Europa esisteva appena qualche migliaio di libri; appena un secolo dopo ce n’erano circa 10 milioni, era cambiato il modo di scriverli, leggerli e commerciarli e l’idea stessa di libro ne era stata profondamente trasformata. Da questa trasformazione ne sono derivate altre, nella produzione di conoscenza, nella costruzione di narrazioni e immaginario, nei rapporti di cittadinanza e nelle istituzioni civili; la tecnologia tipografica, a sua volta, è stata un modello fondamentale per tutta la successiva industrializzazione. In altre parole, possiamo riformulare la legge di Clarke, dicendo che una tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla vita.
Per quanto riguarda la seconda parola, per digitale non possiamo limitarci a intendere semplicemente il fatto che usiamo i computer e le reti informatiche: dobbiamo comprendere la concezione di fondo, il principio in base al quale questi oggetti, in generale, possono funzionare. Formulando questo principio in modo simile alla legge che abbiamo appena visto, potremmo dire che esso suona così: con una sufficiente potenza di calcolo, ogni qualità può essere rappresentata quantitativamente. In altre parole, tutto può essere trasformato in numeri e calcolato: si tratta dell’assunto di base della scienza moderna, da Galileo in poi. Per esempio, la codifica digitale di un suono o di un’immagine significa l’associazione di ogni elemento che la compone a uno specifico valore numerico, ordinato in una sequenza che dispone ognuno di questi elementi in un modo corrispondente all’originale e interpretato da una serie definita di calcoli (algoritmi) per riprodurre, o modificare, questo suono o questa immagine, in una forma tanto più fedele quanto più piccoli sono gli elementi codificati e, dunque, quanto più estesa è la sequenza risultante e maggiore è la potenza di calcolo richiesta.
La tecnologia digitale, quindi, è lo sviluppo di applicazioni di questo principio con la realizzazione di dispositivi, applicazioni e procedure che rappresentano quantitativamente una parte sempre maggiore della realtà, fino a sovrapporvisi completamente: a questo punto, gli interventi e le trasformazioni operati sugli oggetti digitali agiscono direttamente su quelli fisici. Ecco perché non ha molto senso parlare di una realtà digitale, o virtuale, contrapposta o diversa da quella fisica: fisico e digitale insistono sullo stesso piano di realtà, quello della nostra esperienza. Lo vediamo, banalmente, quando usiamo un navigatore per trovare la strada: la corrispondenza tra il livello fisico e quello digitale è completa e continua, tanto che le azioni nell’uno si riflettono sulle condizioni dell’altro.
A queste condizioni, un modello economico e sociale nel quale la tecnologia digitale sia tanto matura da esserne un presupposto di fondo, dovrebbe configurarsi su questi elementi:
- dato che la tecnologia digitale permette (almeno in linea di principio) una rappresentazione integrale della realtà, non è più necessario fare ricorso ad astrazioni di valore, ossia al denaro come quantificatore universale, che può funzionare solo a condizione di mettere tra parentesi tutto ciò che non rientra direttamente nel rapporto tra investimento e ritorno. In altre parole, il concetto stesso di esternalità non ha ragione di esistere, se non come approssimazione di calcolo, errore di precisione, almeno in linea di principio da correggere e superare.
- chiaramente, ciò non significa che il denaro non possa continuare a funzionare come mezzo di pagamento, ossia come strumento altamente efficiente nelle transazioni di mercato, in cui la domanda e l’offerta si incontrano in un contesto (di nuovo, almeno in principio) capace di rappresentarle integralmente. Detto per inciso, questa funzione del denaro come registro delle transazioni è, in modo abbastanza fedele, già presente nelle criptovalute.
- dal momento che le connessioni possono essere stabilite e riconfigurate senza alcuna frizione (posso raggiungere direttamente qualsiasi controparte in qualsiasi luogo allo stesso modo), non ha più senso praticare modelli di monocoltura e di integrazione verticale lungo filiere rigide. Allo stesso modo, la capacità del digitale di assumere ogni contenuto allo stesso modo e con la stessa precisione, favorisce (almeno in linea di principio) la diversità e la flessibilità.
- poiché gli oggetti digitali sono infinitamente riproducibili, la loro specifica identità non è data dalla loro singolarità fisica (queste due copie dello stesso libro, per quanto identiche, sono comunque due copie diverse perché occupano una diversa porzione di spazio nello stesso tempo) ma dalla storia delle loro transazioni e modifiche. Di conseguenza, essi sono intrinsecamente stratificati o, per lo meno, stratificabili: funzione, utilità e valore sono strettamente legati alla versione che li identifica (il modello della blockchain fornisce una buona rappresentazione di questo aspetto); ciò trasforma radicalmente lo stesso processo di valorizzazione, che non è più puntuale, bensì continuo. Ne risulta la palese inadeguatezza degli attuali modelli di proprietà e lavoro, basati rispettivamente su un titolo associato a una singola transazione per un oggetto in uno stato ben definito e sulla cessione puntuale del valore prodotto in una specifica attività.
- infine, questo definisce un nuovo paradigma di funzionamento, basato sulla complessità: ogni oggetto, ogni transazione viene seguito e documentato, mentre il modello industriale classico funziona sulla semplificazione. Questa differenza è fondamentale dal punto di vista della sostenibilità ambientale: il ciclo delle energie rinnovabili è strutturalmente molto più complesso di quello dei combustibili fossili (fluttuazioni continue e difficilmente prevedibili della produzione, forte dislocazione degli impianti, continua necessità di adattamento dell’accumulazione e della distribuzione), l’economia circolare richiede un continuo tracciamento dei prodotti e del loro ciclo di vita, la gestione degli ecosistemi naturali, ma anche di quelli antropizzati, rende necessaria un’azione continua di controllo, valutazione e rimodulazione. Qui il nesso tra digitalizzazione e Green Deal, al centro dell’agenda della Commissione europea, si mostra in tutta la sua cogenza.
A queste condizioni, sembra che ci siano tutte le premesse per costruire un’economia digitale di mercato, in cui l’ultimo termine rappresenta l’istanza di continua rappresentazione mediazione delle diverse complessità che vi prendono parte. Eppure, la realtà di oggi, che pure vede la tecnologia digitale in un ruolo certamente non marginale, sembra parlare un linguaggio ben diverso, tanto da essere, semmai, la realizzazione più compiuta del modello industriale classico.
Perché le cose vanno in questo modo? Per rispondere a questa domanda, inevitabilmente, servirà un altro articolo.