
Nella nostra esperienza quotidiana del mondo, siamo abituati a notare le discontinuità, le rotture, le differenze. Ciò ha un’ovvia ragione evolutiva, tanto che questo atteggiamento è tipico anche di molti animali: in un contesto fondamentalmente stabile, ogni cambiamento può essere un pericolo o una nuova opportunità, da esaminare con particolare attenzione. Lo vede bene chi ha un gatto o un cane e vede il quadrupede di casa esaminare da tutti gli angoli ogni oggetto nuovo o qualsiasi cambiamento nella disposizione del mobilio.
Ma forse la massima testimonianza di questo interesse per l’insolito e l’irregolare è nel nostro rapporto con quelle che possiamo chiamare le pratiche sociali narrative, quella fruizione e produzione continua di storie che accompagna ogni momento della nostra vita sociale. Si tratti di un libro, un film, un articolo di giornale o un post sui social, siamo sempre in cerca di qualcosa che ci sorprenda e ci emozioni, non certo della solita routine. Come ci ricorda un celebre principio del giornalismo, che incidentalmente conferma come l’informazione sia (anche) una forma di narrazione, “la notizia non è il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane”.
La conoscenza scientifica, invece, funziona in modo opposto: la sua funzione è di trovare e formulare, per l’appunto regole che descrivano il funzionamento normale e regolare dell’ambito che si vuole conoscere. Anche quando si trovano deviazioni e mettono in discussione le regole esistenti, lo si fa con il fine dichiarato di stabilire nuove regole, che normalizzino quelle che nel modello precedente erano eccezioni o aberrazioni. Insomma, alla scienza interessano i cani che mordono gli umani e, nel caso in cui succeda l’inverso, cerca di capire perché sia accaduto, dando una spiegazione che riconduca anche un evento così eccezionale a un ambito di fatti noti e prevedibili.
Questa dialettica tra la ricerca dell’insolito e la sua riconduzione alla normalità, tra narrazione e conoscenza, è una straordinaria ricchezza del nostro modo di pensare e vivere il mondo, che ci permette di scoprire, comprendere e progredire. Per esempio, nella nostra situazione, il meccanismo virtuoso si attiva quando la constatazione di un dato irregolare (per esempio, casi di una nuova patologia) acquista una certa consistenza (i casi si moltiplicano) e allora diviene necessario affrontare la situazione (prendendo provvedimenti di carattere generale, come il rafforzamento delle misure di profilassi).
Un esempio in senso negativo è quando si prende un singolo fatto particolarmente eclatante (per esempio, due persone che hanno eluso i controlli per andare a sciare) viene arbitrariamente generalizzato (i controlli non servono a niente perché nessuno li rispetta) e usato per arrivare a conclusioni affrettate (servono più controlli e l’epidemia scomparirà). In questo caso, e anche queste settimane di quarantena e di distanziamento ce ne forniscono notevoli testimonianze, il problema è duplice. Da un lato, c’è un cattivo uso dei dati, per cui un dato particolarmente irregolare, e quindi per definizione scarsamente rappresentativo, viene assunto come la norma di riferimento. Dall’altro, c’è una distorsione logica, strettamente collegata alla distorsione percettiva appena vista: il dato aberrante viene visto come causa del problema, senza nemmeno chiedersi se ve ne siano altri, e conseguentemente la soluzione fornita non può che essere limitata, se non errata.
Ecco perché comprendere bene i dati, il loro senso e, soprattutto, il modo in cui leggerli ci aiuta a essere più consapevoli, più liberi, meno impauriti.