L’accumulo di fake news delle ultime settimane è significativo ma non sorprendente: siamo ormai abituati a convivere con queste forme di inquinamento della comunicazione, tanto da riconoscerle quasi a prima vista. Si tratta, però, il più delle volte di un processo per lo più intuitivo, in cui sospettiamo che la tal notizia sia falsa per una certa “aria di famiglia” che la fa assomigliare ad altre del genere. D’altra parte, ormai il campionario di questo genere è abbastanza vasto da permetterne una tassonomia, vale a dire di codificarne gli aspetti qualificanti per elaborare una descrizione generale di ciò che si definisce come fake news.
Non si tratta, infatti, semplicemente di informazioni false, siano esse la conseguenza di un errore o di una falsificazione deliberata; né mi pare sufficiente notarne il potenziale calunnioso o diffamatorio. Dire che il tale politico ha preso tangenti senza averne le prove è, con ogni evidenza, una diffamazione; tuttavia, senza sminuirne la gravità, si tratta sempre di un’affermazione puntuale, specifica e confutabile.
Invece, le fake news hanno un altro carattere: sono generiche, fumose, approssimative al punto da risultare quasi inafferrabili e, proprio per questo, sono tanto difficili da smontare. A partire da queste differenze, i tratti salienti delle fake news potrebbero essere riassunti in questi punti:
- la sfida all’establishment: la fake news proclama di essere portatrice di contenuti “eretici”, incompatibili con la scienza ufficiale. In questo modo, si attua una duplice tattica: da un lato, la si difende dalle possibili confutazioni, visto che queste fanno necessariamente appello alle pratiche e ai risultati della scienza ufficiale, mentre dall’altro, screditando il metodo scientifico e le sue istituzioni, si prepara l’attacco alla loro credibilità. Un tratto essenziale qui è che l’establishment in questione sia soprattutto quello della scienza, dell’accademia o dei media, in una parola quello intellettuale. Questa diffidenza verso il professionismo culturale è il primo tratto del carattere populista delle fake news.
- il nemico occulto: ma la “verità ufficiale” e i suoi custodi sono solo la prima linea dello schieramento avverso che la fake news prende di mira. Essi sono soltanto il paravento, spesso inconsapevole, di un nemico tanto più insidioso quanto più dissimulato, che trama nell’ombra, mosso da avidità o pura e semplice malvagità. Anche quando tale nemico fosse noto (Bill Gates, Big Pharma, il governo tedesco e così via), le sue vere finalità sono comunque occulte, o per lo meno dissimulate. Questa narrativa, tanto elementare da risultare stucchevole, serve anch’essa a un duplice fine. In primo luogo, essa giustifica il presupposto (gli scienziati ti mentono perché obbediscono al nemico); poi, essa avvalora la fake news stessa anche al di là del suo contenuto immediato, in quanto espone un pericolo così grande. Il secondo tratto populista è ben chiaro: un nemico potente ma vile si contrappone alla popolazione, onesta ma ignara.
- la visione paranoica sistematica: questo modello costituisce un vero e proprio quadro metodologico nel quale contenuti diversi, eterogenei e persino contraddittori possono trovare tranquillamente collocazione gli uni accanto agli altri. Si tratta di una situazione simile a quella descritta da Umberto Eco nel suo celebre saggio sull’Ur-fascismo, definito come “totalitarismo fuzzy”: dato che le fake news valgono essenzialmente per opposizione, il loro contenuto positivo conta poco. Lo abbiamo visto chiaramente in questa pandemia: il virus non esiste, anzi, è prodotto in laboratorio dai cinesi, è innocuo e serve solo come scusa per obbligarci al vaccino, anzi, è pericoloso ma la cura c’è però Big Pharma non la vuole, e comunque le mascherine/il distanziamento/le app di tracciamento/le terapie intensive non servono a nulla e sono solo strumenti per controllarci o per ucciderci. Come si vede, queste affermazioni sono del tutto incoerenti, ma sono accomunate dal rifiuto per la “versione ufficiale”, di per sé inaccettabile perché prodotta, per l’appunto, da un establishment corrotto agli ordini di un nemico occulto. Ecco un altro elemento di populismo: la lotta contro il nemico comune affratella e compatta, rendendo accettabile ogni differenza.
- la possibilità di redenzione, generalmente offerta da un eroe positivo, sia esso uno “studioso fuori dal mainstream”, un leader politico, una celebrity che fa da amplificatore alla notizia, un semplice utente del web con aspirazioni da guru. Questo è un elemento necessario, dato che l’architettura stessa delle fake news ha bisogno di un polo positivo da contrapporre simmetricamente al nemico; generalmente, questo ne è anche il punto debole, sia perché la definizione di questo punto di riferimento può essere divisiva (in presenza di diversi leader, possono costituirsi tifoserie contrapposte), sia perché, in quanto contenuto positivo irrinunciabile, si presta a essere attaccato. Anche questo punto rientra nel carattere populista generale della narrazione: i sostenitori della causa si riconoscono e rafforzano il loro legame nella militanza.
Questa struttura, come si può facilmente riscontrare, è comune alla quasi totalità di quell’insieme variegato che va sotto il titolo di fake news. La costanza della struttura non è solo un incidente di percorso, un fatto casuale: proprio questa riconoscibilità risponde al bisogno generale di semplificazione che spinge tanti utenti ad accettare questo tipo di messaggio: alla causalità complessa dei fenomeni reali, che difficilmente si lascia ridurre a uno schema semplice e, ancor meno, a un modello morale così elementare e simmetrico, si preferisce l’individuazione di un agente unico, dotato di una propria volontà, per quanto maligna. Anche perché diventa possibile, così, contrapporre a questo principio negativo uno positivo, con un processo concettuale del tutto simile a quello della religione, almeno nelle sue forme più primitive.Ecco perché le fake news sono così potenti: perché sotto l’apparenza moderna delle notizie, esse hanno la struttura e svolgono la funzione di un modello ben più antico e profondamente radicato: quello del mito.