La vittima più illustre

Tra le tante vittime della pandemia, ce n’è una la cui dipartita potrà avere un impatto davvero significativo sulle vite di tutti, sul modo di lavorare e di produrre e sulle caratteristiche della nuova fase dell’economia mondiale, per non dire sul modo in cui si programmano e realizzano le politiche pubbliche. Non si tratta di una persona ma di un concetto, di un valore che, per diversi anni, è stato, più che un punto di riferimento, un feticcio. Sto parlando dell’ottimizzazione o, a essere precisi, di una specifica declinazione di questo principio.

Di per sé, l’ottimizzazione è il principio chiave dell’economia, intesa come l’attività sociale che mira a produrre beni per soddisfare bisogni: dato che ogni attività richiede un certo dispendio di lavoro e risorse, ridurre la quantità di questi beni impiegati per soddisfare i bisogni, o aumentare la quantità di bisogni soddisfatti con lo stesso impiego di beni, è l’essenza stessa dell’economia come scienza, anzi, come attività razionale. Intendere le cose in questo modo, però, significa vedere l’economia come una disciplina ancillare, la cui finalità sarebbe, propriamente, quella di fornire strumenti e soluzioni a questioni che rimandano ad altri ambiti di determinazione del valore. Tipicamente, questo valore è determinato al livello dei bisogni: se è per soddisfarli che si lavora e si consumano risorse, allora le attività economiche devono essere commisurate all’importanza dei bisogni che riescono a soddisfare ed è in funzione di questi che possono aver senso le pratiche di ottimizzazione.

Negli ultimi decenni, all’incirca a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, si è invece sempre più affermata, prima in Occidente poi in tutto il mondo, una visione “economocentrica”, in cui l’economia ha assunto il senso di luogo decisivo, capace di determinare tutti gli altri valori. Per chi ha studiato un po’ di filosofia, questa operazione di trasvalutazione non può che richiamare Nietzsche e la sua critica al sistema di valori che la modernità ereditava dai secoli precedenti; per chi ne abbia studiata un po’ di più, il richiamo si estende al grande dibattito novecentesco sul nichilismo, in tutte le sue declinazioni.

Tornando con i piedi per terra, proviamo a guardare quello che è successo nel mondo: se il valore economico è il solo possibile, allora l’ottimizzazione diventa un imperativo assoluto, quasi un criterio morale. Ecco, allora, che le filiere produttive si sono organizzate secondo il principio del just in time e della riduzione delle scorte, per evitare i tempi morti e l’immobilizzazione di valore. Più in generale, l’imperativo dell’ottimizzazione ha portato a un ulteriore passo avanti nella direzione dell’industrializzazione, nella sua struttura di fondo. Infatti, la chiave dell’industria non è rappresentata dalle fabbriche o dalle ciminiere, ma da un principio organizzativo: la produzione è orientata verso beni standardizzati, che hanno alla base processi sempre uguali e compiutamente descrivibili, in modo da poter essere analizzati e, di conseguenza, ottimizzati in ogni particolare.

Il problema di questo modo di pensare è che funziona in circostanze normali, nelle quali non ci sono particolari sorprese o, in caso, restano abbastanza circoscritte da produrre crisi locali, che diventano facilmente opportunità per chi ne resta al di fuori. La pandemia è, per definizione, un evento globale, proprio come lo fu l’ultima crisi finanziaria: in questi casi, il sistema rivela tutte le sue fragilità, perché è complessivamente progettato per agire in circostanze, appunto, normali. Lo abbiamo visto nella prima ondata epidemica, quando la parte più ricca del mondo si è trovata drammaticamente a corto di mascherine: se il virus fosse stato più letale, sarebbe stato un disastro spaventoso.Più in generale, il problema è che ci sono delle funzioni che, per così dire, sono superflue fino a quando non diventano necessarie: pensiamo ai pompieri, che in circostanze normali non servono a nulla, ma in caso di incendio diventano indispensabili. Oppure alle terapie intensive: l’ultimo annuario statistico del Servizio sanitario nazionale mostrava un tasso medio di occupazione pari al 30 per cento. Con una sanità affidata a manager cresciuti nella religione dell’ottimizzazione, un valore del genere significa che si può tagliare, ridurre, risparmiare. Gli eventi di quest’anno hanno mostrato, credo al di là di ogni dubbio, quanto una simile prospettiva sia miope.

Info Autore
Chief of Strategy , Tombolini & Associati
Ho studiato filosofia alla Sapienza (tesi su Hegel, dottorato su Husserl, qualche pubblicazione qua e là) e, fin dai miei ultimi anni da studente, lavoro nella comunicazione e nell’analisi strategica. Adesso faccio queste cose con Tombolini & Associati, di cui sono socio e partner.
×
Chief of Strategy , Tombolini & Associati
Ho studiato filosofia alla Sapienza (tesi su Hegel, dottorato su Husserl, qualche pubblicazione qua e là) e, fin dai miei ultimi anni da studente, lavoro nella comunicazione e nell’analisi strategica. Adesso faccio queste cose con Tombolini & Associati, di cui sono socio e partner.
Latest Posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ridimensiona font
Contrasto