L’iniziativa del governo sul cashback ha uno scopo evidente: quello di rafforzare i consumi in un contesto nel quale la propensione alla spesa è fortemente calata e si tende a tenere fermi i soldi. Basti pensare che quest’anno la liquidità sui depositi bancari è salita dell’8 per cento e che quest’anno arriverà, da sola, a valere quanto tutto il Pil (fonte). Bisogna ricominciare a spendere, per sostenere tutti i settori produttivi e in particolare il commercio, che nei primi 5 mesi dell’anno aveva già registrato una flessione del 46 per cento rispetto allo scorso periodo del 2019 (fonte); la parziale ripresa del trimestre successivo non è stata comunque sufficiente a compensare le perdite, mentre la seconda ondata rischia di dare un colpo di grazia a molte imprese.
Da qui, la comprensibile preoccupazione per le sorti di tanti negozi, specie delle attività più piccole, affette dal classico problema delle imprese di questo tipo, la scarsità di riserve: se un anno come questo non si augura a nessuno, chi conta sul cash-flow per tenersi a galla rischia davvero di non riuscire a farcela. Questa situazione è particolarmente grave in Italia, visto che il nostro modello economico si basa su un tessuto imprenditoriale fortemente polverizzato, nel quale le microimprese (meno di 10 addetti) sono il 95 per cento del totale, mentre la media europea è del 93 e in Germania si fermano all’82. Se questi numeri non sembrano troppo distanti, la differenza si fa più chiara passando agli occupati, che in Italia sono al 45 per cento dipendenti di microimprese, rispetto al 30 della Francia, al 19 della Germania e al 29,5 per cento della media UE (fonte). La fragilità di queste imprese, pertanto, è un forte fattore di rischio sociale, dato che le ricadute occupazionali di un crollo generalizzato non potrebbero essere assorbite da un sistema di ammortizzatori sociali già allo stremo. Da qui, vista la cronica scarsità di risorse, emergono due distinte necessità:
- nell’immediato, prestare sostegno alle microimprese per evitarne il collasso, con ristori diretti, tregue fiscali, agevolazione del credito e incentivi ai consumi;
- in prospettiva, lavorare sul consolidamento del tessuto imprenditoriale, favorendo investimenti che producano crescita e fusioni tra imprese.
Più in generale, va tenuto conto di un fatto fondamentale: in Italia ci sono più di sei milioni di aziende attive (fonte), ossia circa una ogni dieci abitanti, compresi bambini e pensionati. Il fatto che un’analisi della loro performance non fornisca certo dati esaltanti (fonte) ma che si continui a creare nuove imprese mi pare dimostrare, più che la straordinaria diffusione di un incoercibile spirito imprenditoriale tra le genti italiche, una sorta di costrizione all’impresa, che spinge ad avviare un’attività come tentativo di uscita da una situazione lavorativa difficile, incerta, sottopagata e bloccata. Detto per inciso, questi sono tipicamente i posti di lavoro generati da microimprese che rimangono tali, proprio perché il più delle volte non hanno capienza e orizzonti tali da fare di più.
A queste condizioni, dovrebbe esistere una doppia spinta a favorire il consolidamento del tessuto produttivo italiano verso realtà più grandi e strutturate: una legata all’esigenza di incrementare sicurezza e robustezza strutturale del sistema produttivo (quella che viene definita con l’orrido lemma “resilienza”) e una allo sviluppo del benessere sociale attraverso la promozione della crescita. In altre parole, la necessità di aiutare oggi le microimprese, nella fattispecie quelle commerciali, non dovrebbe tradursi, per l’ennesima volta, in un’opera di conservazione dell’esistente.
Ora, sappiamo bene che la dimensione digitale è una parte ormai ineludibile della nostra esistenza e, a maggior ragione, della nostra realtà economica. Come abbiamo detto in precedenza,
gli interventi e le trasformazioni operati sugli oggetti digitali agiscono direttamente su quelli fisici. Ecco perché non ha molto senso parlare di una realtà digitale, o virtuale, contrapposta o diversa da quella fisica: fisico e digitale insistono sullo stesso piano di realtà, quello della nostra esperienza. Lo vediamo, banalmente, quando usiamo un navigatore per trovare la strada: la corrispondenza tra il livello fisico e quello digitale è completa e continua, tanto che le azioni nell’uno si riflettono sulle condizioni dell’altro.
La digitalizzazione, in altre parole, è una dimensione chiave della vita delle imprese. Ogni attività che sia in grado di fornire un reale valore aggiunto può fare più e meglio aggiungendo questa dimensione, se ne è priva. Le attività che non creano valore, visto che hanno comunque bisogno di consumarne una certa quantità per esistere, finiscono per toglierne ad altri e, pertanto, vi sono ben pochi motivi per sostenerle. In altre parole, la crisi della pandemia dovrebbe essere l’occasione per investire con decisione sulla digitalizzazione, a partire proprio dalle imprese più piccole.
Anche qui, i tedeschi sembrano avere le idee chiare, con il programma Digital-Jetzt che stanzia (per il momento) 203 milioni di euro di sostegno agli investimenti delle imprese per la digitalizzazione (al 50 per cento per le aziende fino a 50 dipendenti, al 45 per quelle fino a 250 e al 40 per le più grandi). A questa iniziativa del governo se ne aggiungono numerose altre, provenienti dal tessuto imprenditoriale, raccolte sul sito della confederazione tedesca del commercio.
Insomma, chi non ha una presenza digitale farebbe meglio a costruirla. Anche perché il dominio del web da parte dei noti giganti non è una realtà ineluttabile, ma una condizione data dallo scarso sviluppo in questo senso di gran parte delle aziende, che finiscono per doversi affidare, eventualmente, ai soliti noti e a condizioni non certo vantaggiose e, forse, neppure sostenibili.
Bene, a queste condizioni non sembra necessario dire di più su quanto sia sensata la decisione di far valere il programma di cashback solo per il commercio fisico, escludendo l’online. Vero?
Sì, si poteva aggiungere per renderlo più vero – Escludendo l’online per la sola ragione di escludere i grandi “player”.
E, semmai non bastando ai distratti, trovare il modo di accennare al motto sul marito, che per far dispiacere alla moglie – tagliano poi soltanto il vero finale. Obr. —j