USCA di oggi
Le Unità speciali di continuità assistenziale rappresentano la risposta territoriale, di prossimità, domiciliarità e prevenzione per la lotta al coronavirus.
Nella primissima fase della pandemia, tra febbraio e marzo, il territorio si è ritrovato completamente impreparato a una sfida annunciata dal mese precedente, seguendo le vicende della Cina: ci sarebbe stato tempo e modo di fare meglio ma, per diverse ragioni, non si è fatto abbastanza.
Il filtro del territorio è completamente saltato, portando con sé i morti anche tra le fila dei medici di famiglia, che stiamo ancora, tristemente, contando.
Il territorio era impreparato per due ordini di motivi:
- Dal punto di vista economico: il de-finanziamento cronico
- Dal punto di vista politico: il mancato riconoscimento della centralità della figura della medicina generale (medici di famiglia e continuità assistenziale) come presidio di tutela della salute della popolazione e di prevenzione
Che il territorio debba avere un ruolo centrale lo sanno tutti, in particolar modo la Germania, che è riuscita a contenere lo tsunami sui propri ospedali anche grazie ad un’attività di protezione nei confronti del territorio e di potenziamento delle figure cardine, che possono tempestivamente richiedere tamponi e far cominciare tutta quell’opera di prevenzione e ricostruzione dei contatti che si è rivelata strategica anche in Veneto.
Il caso tedesco è particolarmente significativo proprio perché, a differenza dell’Italia, la Germania non ha un vero e proprio servizio sanitario nazionale: anche se lo stato federale fissa delle linee guida e dei livelli base di assistenza, il sistema è articolato su un doppio asse, da una parte sulla base dei diversi Länder, dall’altra con un modello assicurativo misto pubblico-privato. Un assetto del genere non è certo il più adatto per gestire una pandemia, dato che la scarsa uniformità degli interventi e i potenziali problemi di coordinamento e comunicazione degli attori possono rendere difficile quella risposta sistematica, tempestiva e puntuale che è fondamentale in questi casi. Per fortuna, in Germania esiste dal 2005 un Piano nazionale delle pandemie, il cui aggiornamento per il COVID-19 è uscito il 3 marzo. In questo modo, è stato definito un modello estremamente dettagliato per la diagnosi, il tracciamento e la cura, con una cabina di regia molto efficiente, che ha potuto fare, come si è visto, la differenza. Al tempo stesso, il sistema tedesco dà una grande importanza agli ambulatori di medicina generale (Generalpraxis) che fanno da punto di ingresso nel sistema delle cure e da contatto continuo con i pazienti fuori dall’ospedale: questa rete si è rivelata, come prevedibile, fondamentale nell’eccellente risposta della Germania all’epidemia.
Torniamo in Italia e ai due punti di cui sopra, il definanziamento cronico e il disinvestimento politico sulla medicina generale. Il primo si è manifestato chiaramente con la mancanza di DPI per tutte le figure coinvolte ma, andando più indietro nel tempo, con il mancato rinnovo contrattuale e, conseguentemente, la mancata evoluzione dei modelli organizzativi. Modelli che sono fermi a più di 20 anni fa e che già da tempo mostravano segni di sovraccarico, stretti nella morsa tra la burocrazia e i bisogni di salute di una popolazione sempre più anziana. Altro punto dolente, il disinvestimento nella formazione dei medici di famiglia, tanto sul versante contrattuale quanto su quello della didattica.
Il secondo punto, il disinvestimento politico rispetto alla figura del medico di famiglia, lo abbiamo visto in particolar modo in Lombardia, regione che più di tutte si è lasciata andare a privatizzazioni, con i risultati che purtroppo sono evidenti a ognuno. Lo si è chiaramente percepito quando è stata negata la possibilità, per i medici di medicina generale, di attivare celermente e prioritariamente il percorso dei tamponi per una diagnosi tempestiva del COVID-19.
Tutto questo ha portato, sebbene in ritardo, alla costituzione delle USCA che rappresentano il presidio della medicina generale nella lotta al coronavirus.
Sulle USCA stiamo infatti investendo sia economicamente in DPI e in dotazioni tecnologiche, sia politicamente e strategicamente nella figura di un medico di medicina generale capace di svolgere attività di prevenzione e assistenza domiciliare e di prossimità ai malati di COVID-19, agendo contestualmente da filtro per i reparti ospedalieri e collante fra ospedale, territorio e dipartimento di prevenzione. Potenzialmente, le USCA rappresentano un capolavoro nel processo di evoluzione e ammodernamento sia del SSN, sia del rapporto tra medicina convenzionata e dipendente: il medico di medicina generale 2.0.
Facciamo un gioco: le USCA di oggi
Immaginiamo una possibile evoluzione, a partire dal contesto in cui stiamo vivendo. Immaginiamo, insomma, una ipotetica fase 2 dopo la recente fase 1, disastrosa per l’assistenza territoriale: una fase lontana da quei giorni in cui un anestesista doveva scegliere chi intubare, se il giovane o l’anziano.
Il signor Mario Rossi, 50enne iperteso con qualche kg di troppo, ha la febbre da una settimana con tosse, preceduta da qualche scarica di diarrea e il suo respiro si sta facendo sempre più corto. Contatta il suo medico di famiglia, il quale attiva la USCA per una visita urgente e tampone. Ipotizziamo che il risultato del tampone sia positivo ma che nel frattempo il paziente sia clinicamente stabile: vengono fatti esami ematici, ECG, ecografia e il paziente non mostra particolari segni di allarme per cui si concorda, anche con il MMG, di tenerlo a domicilio, magari somministrando ossigeno per una lieve desaturazione e monitorandolo attivamente nel tempo. Il paziente guarisce, evitando il ricovero, avendo sempre qualcuno vicino pronto a confortarlo e salvaguardando un posto letto in ospedale per qualche caso più grave oppure più ingravescente.
Facciamo un gioco: le USCA di domani
Immaginiamo adesso di vivere in un futuro prossimo neanche troppo lontano, in cui la pandemia da coronavirus in realtà non c’è mai stata.
Immaginiamo che tutti i problemi di finanza pubblica abbiano portato a un costante e progressivo definanziamento del SSN e della medicina generale. Immaginiamo un medico di famiglia, da solo nel suo studio, coperto da montagne di carta perché non si è snellito il suo lavoro burocratico ma soprattutto non si è investito nella digitalizzazione dei suoi processi. Il continuo disinvestimento politico, in questo futuro immaginario, ha poi reso la figura del medico di famiglia sempre più marginale, relegando la funzione di assistenza primaria alle cooperative o al privato come in Lombardia.
Nel frattempo, l’inversione della piramide epidemiologica continua a farsi sentire.
Esplode la bomba delle cronicità.
Milioni di pazienti italiani, anziani pluri-patologici, cronici, fragili, si riversano sugli ospedali perché non c’è una medicina del territorio che riesca a prevenire le riacutizzazioni o trattare le fasi acute o semplicemente seguire nel tempo le necessità di questa popolazione difficile e sempre più bisognosa di salute.
Non c’è più l’anestesista di prima a scegliere se intubare un paziente o un altro, ma c’è l’ambulanza che si trova a metà strada fra un politraumatizzato e un anziano scompensato.
Cominciano ad aumentare i morti e la politica si interroga sul ruolo centrale della sanità e sugli investimenti mancati in prevenzione e medicina del territorio.
Si cambia registro e si comincia ad investire: in tecnologia, nel personale in formazione, nei modelli organizzativi, si incentivano i medici di famiglia a seguire determinati pazienti in maniera pro-attiva, facendo medicina di iniziativa. Si incentiva l’assistenza sempre più prossima al malato, sempre più domiciliare, sempre più integrata con l’ospedale anche attraverso una strumentazione tecnologica innovativa, si dematerializza e sburocratizza il lavoro per permettere ai medici di fare i clinici e si investe in telemedicina, teleconsulto e digital health.
Si costituiscono le “Nuove USCA”, che di speciale questa volta non hanno la lotta ad un virus invisibile venuto da lontano, ma la lotta alle cronicità che sono sempre più vicine e intorno a noi, ugualmente minacciose.
Nasce lo Studio Medico 3.0.
Da questo punto di vista, il coronavirus non ha fatto altro che mettere in avanti le lancette del tempo, mostrandoci con brutalità e limpidezza tutto quello a cui saremmo andati incontro nel prossimo futuro, se avessimo continuato a disinvestire come nel recente passato.
Questa è la sfida e la scommessa che stiamo vivendo oggi con le USCA, un modello organizzativo nuovo, nato sullo sfondo di una pandemia, sul quale possiamo investire perché ne vediamo subito la diretta potenzialità, ma che rappresenta in realtà la risposta più efficace al mondo verso cui stavamo già andando incontro, libero dal COVID-19 ma minacciato da qualcosa di altrettanto pericoloso: le malattie croniche.