Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, istituite con il Decreto legge 14 del 9 marzo sono una realtà già attiva e funzionante in molte regioni d’Italia, anche se alcune stanno ancora stentando a farle partire (Indagine FIMMG).
Ma cosa c’è di “speciale” in queste unità? A uno sguardo superficiale, la risposta potrebbe essere semplicemente la dotazione di DPI.
Agli occhi di un sognatore progressista invece c’è molto di più.
1. La dotazione tecnologica
Dato che sono un servizio nuovo con esigenze nuove e soprattutto in tempi di crisi, queste unità hanno dovuto trovare velocemente la loro collocazione territoriale, dotandosi di tutti gli strumenti necessari alla presa in carico efficace dei pazienti positivi al Covid ma anche dei sospetti positivi.
Ad esempio, nelle Marche i medici e gli infermieri dell’USCA possono eseguire a casa dei pazienti
- Prelievi ematici
- Prelievi arteriosi con emogasanalizzatore portatile
- Saturimetria, temperatura corporea, pressione
- ECG
- Ecografia Toracica (dopo formazione)
- Tamponi
Una vera e propria batteria diagnostica per inquadrare precocemente i pazienti e svolgere piuttosto efficacemente la loro fondamentale funzione di “filtro” per gli ospedali in affanno.
La necessità di dotare i medici del territorio di strumentazione diagnostica innovativa, era già nei piani del Ministero della Salute prima dell’emergenza Covid.
Criticità
La legge ha messo a disposizione 235 milioni per la diagnostica, ma mancano ancora molte capacità che darebbero piena finzionalità a questo investimento. Allo stato attuale, siamo, per così dire, ancora a metà strada e, in questi casi, a non andare fino in fondo si rischiano di predere molte occasioni fondamentali. Per esempio, manca la possibilità di usare strumenti come il teleconsulto con i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali, in particolar modo per l’ecografia toracica bed side teleguidata, che favorisce da un lato la formazione degli operatori e dall’altro lato l’uso più efficace dello strumento. Manca ancora una vera e propria piattaforma per la diagnostica digitale che possa integrare le informazioni cliniche reperite a domicilio nel più breve tempo possibile (per evitare i tempi di esposizione a casa dei malati). Sarebbe necessario anche disporre di alcuni strumenti innovativi, come il fonendoscopio digitale, che permettono di superare le barriere fisiche create dalla protezione individuale degli operatori sanitari, usando la tecnologia wireless o bluetooth.
2. Il modello organizzativo: preludio all’H16?
L’attività delle USCA è diurna dalla 08 alle 20, 7 giorni su 7. Questa disponibilità oraria a stretto contatto (telefonico) con i medici di medicina generale, richiama il progetto, poi abbandonato, dell’H16 (h12 in questo caso), secondo cui i medici a quota oraria si sarebbero integrati ai medici a quota capitaria in un nuovo modello organizzativo capace di assistere in maniera più estensiva e proattiva i pazienti nell’arco della giornata. La stretta sinergia tra medici di famiglia e USCA è ancora più evidente nelle Marche, dove è stata istituita la figura del MMG coordinatore/referente, che raccoglie le richieste di attivazione da parte di medici di famiglia e pediatri di libera sceltae concorda con l’USCA l’attività giornaliera sulla base delle priorità assistenziali dei pazienti, anche in considerazione del fatto che i tempi di presa in carico sono più lunghi per le operazioni di preparazione dei kit e di vestizione/svestizione).
L’integrazione con gli infermieri all’interno delle USCA rende il servizio ancora più completo e versatile, con una maggiore integrazione delle competenze medico infermieristiche di cui il territorio aveva e avrà sempre più bisogno.
Criticità
Manca un vero e proprio nuovo modello organizzativo integrato che tenga conto anche della continuità assistenziale e in particolar modo della fascia oraria 20-24, in cui l’assistenza USCA non è garantita e i medici di continuità assistenziale sono ancora sprovvisti di idonee protezioni individuali. Inoltre, la Continuità assistenziale continua a non avere la dotazione diagnostico/strumentale e infermieristica necessaria per una presa in carico più efficace dei pazienti.
3. La Formazione-Lavoro dei corsisti in medicina generale
Il tema della formazione lavoro, sia per gli specializzandi ospedalieri che per quelli della medicina generale, è un tema caldo da ormai più di un anno. Il classico percorso formativo, che vedeva il corsista come un tirocinante negli ospedali, già mostrava i primi segni di insostenibilità con l’arrivo della gobba pensionistica; la pandemia da coronavirus ha accelerato un processo che sembrava comunque essere già in atto.
Infatti, a partire dall’ACN 2018 i corsisti hanno priorità di assegnazione degli incarichi vacanti di continuità assistenziale e possono avere incarichi fino a 12 mesi continuativi, superando il precedente limite di tre mesi e occupando così a tempo pieno sia l’aspetto lavorativo, sia quello formativo.
Con l’avvento cosiddetto decreto semplificazione, recepito nella preintesa del 2019, si è poi fatto un ulteriore passo in avanti, dando ai corsisti in medicina generale la possibilità di accedere – fino al 31 dicembre 2021 –alle procedure di assegnazione degli incarichi convenzionali in tutti i settori della medicina generale, seppur con limitazione oraria.
Il decreto legge 14 del 9 marzo, nel suo articolo 4 supera infine tutta la componente “osservazionale” del tirocinio, permettendo ai corsisti in medicina generale di completare direttamente la loro formazione pratica (per tutto il periodo dell’emergenza ovvero fino al 31 Luglio 2020, in assenza di proroghe), riconoscendo loro la formazione negli ambiti della medicina generale, in particolar modo per le sostituzioni di MMG, continuità assistenziale compresa quella turistica ed ovviamente le USCA.
Criticità
Tra i settori riconosciuti mancano l’emergenza sanitaria territoriale e la penitenziaria. Inoltre, in alcune regioni le segreterie dei corsi stanno facendo problemi al riconoscimento delle attività come la continuità assistenziale per il riconoscimento delle ore.
4. L’integrazione ospedale – territorio
I medici dell’USCA, a differenza di quelli di continuità assistenziale, lavorano in una fascia oraria coperta dagli specialisti ambulatoriali e da più personale medico ospedaliero. Così, hanno a disposizione pneumologi, infettivologi e cardiologi di riferimento con cui confrontarsi: questa è sicuramente una sinergia vincente, a maggior ragione con il raccordo del medico di famiglia, che rimane la figura di riferimento per gli assistiti. La sinergia con l’ospedale si rende particolarmente efficace anche per la velocità dei percorsi dedicati, per esempio, all’analisi di laboratorio dei prelievi ematici e dei tamponi effettuati dalle USCA. Ciò dà una risposta celere ai bisogni sanitari e assistenziali di una popolazione particolarmente fragile anche dal punto di vista psicologico, come a dire: il SSN ti è vicino e ti assiste nel più breve tempo possibile.
Conclusione
Se proprio vogliamo trovare qualcosa di positivo in questa grave pandemia che ha portato alla morte di oltre 130 medici, è appunto la sua funzione di “acceleratore” di processi, che stavano prendendo piede a fatica.
Investire nella sanità, e in particolar modo nell’assistenza territoriale, era uno degli obiettivi prioritari da perseguire per la sostenibilità del SSN, con l’attivazione modelli organizzativi con le necessarie dotazioni tecnologiche e liberando, infine, il potenziale dei giovani medici in formazione. Proprio di questo, a mio parere, c’era bisogno.
Queste innovazioni hanno una scadenza temporale: il 31 dicembre 2021 del decreto semplificazione e il 31 Luglio 2020 per l’emergenza covid.
Il mio personale auspicio è che si faccia tesoro di tutta questa esperienza acquisita e anche dei fallimenti, in in particolar modo di quello lombardo, in cui l’assistenza territoriale è stata depauperata in favore del privato e degli ospedali. Così potremo, finalmente, voltare pagina per gli anni a venire verso una nuova medicina generale.