Dopo una prima fase di shock, il territorio sembra iniziare a dare segni di vita e si riorganizza, rinnovandosi.
Che la medicina del territorio sia un asset fondamentale nella lotta al Covid-19 è chiaro anche dai risultati delle tre regioni maggiormente colpite: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. La prima ha una forte declinazione ospedaliera, mentre le altre due stanno impostando il lavoro principalmente sulla prevenzione e il controllo dei pazienti a domicilio.
La riorganizzazione del territorio si basa su tre grandi linee di intervento, che rappresentano in un certo modo l’innovazione portata in dote dall’emergenza Coronavirus.
Per certi versi, è come se il SSN si sia risvegliato dopo una prima fase di destabilizzazione e stia rispondendo colpo su colpo, portando avanti e chiudendo delle partite che avevamo in sospeso da tempo. Il coronavirus, quindi, può essere visto come un acceleratore di alcuni processi, che evidentemente faticavano ad esprimersi per la notoria inerzia e resistenza al cambiamento di tanta parte delle amministrazioni italiane. Possiamo parlare, in queste senso, di tre grandi direttrici di innovazione per la medicina generale:
1) La domiciliarità (USCA)
2) La farmaceutica
3) La tecnologia
Oggi ci dedichiamo al primo punto, che merita un approfondimento specifico. Nei prossimi articoli parleremo anche degli altri due.
LE USCA
Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale sono state istituite nell’articolo 8 del decreto legge del 9 Marzo. Si tratta di team formati prevalentemente da medici di famiglia, che coprono l’orario dalle 8 alle20, tutti i giorni della settimana, per monitorare e assistere i pazienti sospetti che necessitano di tampone o che hanno già contratto l’infezione da coronavirus.
Queste unità rappresentano la risposta di prossimità e domiciliarità della medicina generale all’emergenza coronavirus. Altrettanto imporante è il loro enorme ruolo di assistenza sociale per i pazienti positivi al tampone costretti all’isolamento, che vedono nei medici delle USCA l’unico contatto personale (non filtrato da uno schermo o una tecnologia) che possa assisterli e star loro vicino.
La scarsa organizzazione e la mancanza di dispositivi di protezione dei medici di famiglia e di continuità assistenziale hanno infatti lasciato i pazienti “da soli”, con tutte le paure di una patologia che ha molte forme, dalla più sfumata sindrome para influenzale grave polmonite grave con insufficienza respiratoria acuta.
Il primo punto di forza di queste strutture, che sta emergendo proprio in questi giorni, è la presa in carico precoce dei pazienti anche paucisintomatici, che migliora gli outcome dei pazienti positivi riducendone l’ospedalizzazione. Molti pazienti infatti, anche se asintomatici, mostrano da subito un coinvolgimento polmonare importante che porta a desaturazione (misurabile con un saturimetro e il test del cammino) per cui una valutazione veloce da parte di un medico adeguatamente protetto, come nel caso delle USCA, favorirebbe un monitoraggio stretto di questi pazienti e l’eventuale impostazione delle terapie che stanno via via rendendosi disponibili come possibilità prescrittiva dai medici del territorio, parliamo degli antivirali ad esempio.
Siamo, però, costretti a paralre ancora prevalentemente al condizionale: le regioni, nonostante avessero solo dieci giorni per istituire le USCA (scadenza 19 marzo) stanno ancora oggi impostando l’organizzazione del lavoro dei medici e soltanto succssivamente verrà fatto un approfondimento fra le varie realtà regionali.
IL MODELLO PIACENTINO
Se c’è però un modello che sicuramente funziona e che dovrebbe essere esportato in tutte le USCA è quello di Piacenza. Qui i medici delle USCA (medici del territorio) sono affiancati in una prima fase da un medico ecografista che attraverso l’ecografia del torace può verificare da subito un coinvolgimento polmonare (polmonite interstiziale – pattern B all’eco torace). Un metodo sicuramente più veloce, che abbatte anche i tempi dei tamponi e che si presta ancora meglio al monitoraggio del paziente potendone valutare l’evoluzione nel tempo. Il limite di questo modello è sicuramente la formazione degli operatori, essendo l’ecografia uno strumento “operatore dipendente”, e qui si mostra effettivamente tutto il gap professionale dei medici del territorio che non sono quasi mai stati formati all’uso di questo strumento assolutamente essenziale per la visita “bedside 2.0”. La formazione intensiva di questi operatori, se estesa a livello nazionale, potrebbe cambiare radicalmente l’approccio del territorio ai pazienti, riclassificando precocemente i pazienti in assenza di una diagnosi di laboratorio e cambiare l’iter della malattia di moltissimi pazienti.
VERSO IL RUOLO UNICO DELLA MEDICINA GENERALE?
Come si diceva, il coronavirus si sta comportando da “acceleratore” di processi che stentavano a prendere forma. Questo è anche il caso del cosiddetto “ruolo unico”, in cui il medico fiduciario o medico di assistenza primaria è integrato al ruolo di medico di continuità assistenziale o medico a quota oraria.
I punti di contatto fra USCA e MMG oggi sia sia la sovrapposizione oraria di servizio (entrambi diurni), sia l’integrazione e la collaborazione stretta tra le due figure. Quello che manca è la struttura organizzativa di raccordo, che era stata individuata nell’AFT o Aggregazione Funzionale Territoriale.
Il medico USCA è infatti in stretta collaborazione con il medico di assistenza primaria, il quale attiva l’USCA e ne condivide l’approccio e la gestione del suo assistito. Tale stretta collaborazione è resa ancora più evidente dall’ultima delibera regionale delle Marche dove viene anche istituita la figura del “Coordinatore/referente” che ha il ruolo di intermediare fra le richieste di assistenza dei medici di famiglia e il dipartimento di prevenzione, attraverso l’attivazione dell’Unità Speciale.
Che sia il preludio all’evoluzione della continuità assistenziale come finora l’abbiamo conosciuta?