Dopo mesi di relativa quiete sul fronte della pandemia, la sensazione predominante è che si sia tornati ai tragici mesi del primo lockdown. Almeno, questa è la narrazione prevalente, che racconta la seconda ondata con toni apocalittici, sia per la drammaticità della situazione prospettata, sia per le modalità penitenziali con cui veniamo esortati a espiare le nostre colpe dei tempi di illusoria serenità. Insomma, sembrerebbe che si stia davvero tornando a forme di irrazionalità: certamente da parte di chi, con argomenti sempre più assurdi e paranoici, parla dell’inesistenza della patologia o di folli complotti per instaurare una dittatura sanitaria, ma forse anche tra quelli che non vedono le importanti differenze tra la situazione attuale e quella passata.
A dire la verità, esiste un tema sul quale vediamo una sostanziale continuità con la prima ondata. Oggi, come allora, il clima di paura è esacerbato, se non direttamente causato, dalla mancanza di conoscenza o sulla scarsa analisi ed elaborazione delle conoscenze disponibili. Oggi, ancora una volta, è la conoscenza a difenderci dalla paura.
Di conseguenza, il nostro primo compito, come cittadini prima ancora che come scienziati, studiosi o professionisti, è quello di produrre, condividere e accumulare conoscenza. Per farlo, il primo, fondamentale passo è capire quello che non sappiamo, in modo da porre domande razionali a cui possano essere date risposte altrettanto razionali.
Non sappiamo, ma possiamo provare a prevedere, in che modo si evolverà questa seconda ondata. Non sappiamo, ma possiamo provare a capirlo, che correlazione vi sia tra i nuovi casi riscontrati oggi e il loro esito, rispetto alla prima ondata: in altre parole, se nei mesi di marzo e aprile l’incidenza di casi gravi e la letalità della pandemia erano in Italia particolarmente elevate, oggi possiamo valutare se siano inferiori e quanto si discostino dai dati di Paesi paragonabili al nostro. Questo dato potrebbe essere molto utile a individuare le migliori pratiche di riferimento, in Europa e altrove.
Non sappiamo davvero quante siano le terapie intensive disponibili e quante siano occupate da altre patologie: che questo dato non sia disponibile è un grosso problema, ma non ci pare che, nella pioggia di cifre che ogni giorno si rinnova, si faccia qualcosa per renderlo noto. Non sappiamo quali siano davvero le cause per cui questa seconda ondata si sia abbattuta su tutta l’Europa. Sappiamo però che negli Stati Uniti, in tutta l’America Latina e nel Medio Oriente, la pandemia imperversa da ormai sei mesi, senza che vi siano stati reali fasi di sostanziale calo. Sappiamo inoltre che, in presenza di un fenomeno complesso come questo, è spesso sbagliato cercare cause semplici e che è completamente errato andare alla ricerca di capri espiatori. Sappiamo, è inutile girarci intorno, che le operazioni di tracciamento dei contagi sono saltate un po’ ovunque e che, fosse anche soltanto per questo motivo, possono essere giustificati interventi drastici per frenare la diffusione del virus e riportarla sotto controllo.
Non sappiamo quanto la prima ondata abbia colpito davvero l’economia italiana ed europea e quali saranno le conseguenze della seconda. Non sappiamo se il grande sforzo europeo darà i frutti auspicati, se l’Italia sarà in grado di ripensare alcuni aspetti fondamentali della sua organizzazione sociale ed economica o se ci si limiterà, ancora una volta, ad aspettare che passi la nottata. Sappiamo che non tutto tornerà come prima e che non è necessariamente un male, anzi.
Sappiamo che, per sapere davvero qualcosa, bisogna studiare, riflettere, raccogliere e analizzare i dati, formulare ipotesi e metterle alla prova. Sappiamo che questo processo è fondamentale per capire meglio cosa fare e costruire un sistema sanitario, economico e sociale che sia in grado di reggere alla prossima pandemia e, più in generale, di rendere possibile un governo della complessità più razionale e meno ostaggio di chiacchiere e ricatti.
Abbiamo deciso di riprendere la nostra attività con CovStat perché vogliamo provare a dare il nostro contributo, con tutti i limiti che ci contraddistinguono e che possiamo solo provare a superare. Perché, se è vero che la conoscenza ci difende dalla paura, è anche vero che la conoscenza va conquistata, un pezzo alla volta.